L’assicurazione sulla vita e sulla morte, questo chiedete. E non chiamatela scienza, chiamatela vizio, perversione, incontinenza della carne – chiamatela pure: superstizione.
Voi saggi, che avete sempre ragione e tutto sapete, e i saggi di seconda mano – che nulla sanno ma che sanno ripetere, ridire, reiterare non il calcolo ma il risultato, il monito meschino e insensato che salva il contenitore svuotando il contenuto, state a casa.
Nulla da dire: la morte fa paura, ancora più ne fa il dolore. Ma non chiamatela scienza, meno che mai sapienza, quest’assicurazione che bramate – tutto andrà bene – non chiamatela né scienza né sapienza, fin quando è all’uomo di potere che la chiedete – o peggio, a voi stessi. Voi non salvate il mondo, né lo dannate, non salvate voi stessi, né vi dannate. Un solo compito vi spetta, per salvarvi, il compito ingrato e felicissimo di chiedere, di mendicare: e mendicare è vivere, è rischiare – non preservare fino al parossismo un involucro che dentro è vuoto e marcio.
Perciò sì, voi che siete saggi, continuate a destreggiarvi tra curve picchi e dati incongruenti; fingete con voi stessi di potervi dare sensi che altro non sono che metafore, narrazioni, come tutte le nostre letture. Solo, per grazia o per pietà residua, mentre indirizzate la barca annacquata del mondo pieni della vostra ragione e turbati dalle nostre nevrosi, non parlateci di evidenze – voi che siete ciechi a quello che più importa. Io, per me, sto con l’amica Margherita, che dal suo manicomio di cinquant’anni fa vi dà ragione, e a me dà pace.
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Margherita Guidacci, I saggi hanno sempre ragione
(da Neurosuite, 1970)
I saggi hanno sempre ragione
e sanno tutto: come chi corre cadrà,
chi si protende in altro stringerà solo nuvole,
chi lecca il miele da una lama di coltello
si taglierà la lingua.
E siamo noi la vivente conferma
della loro saggezza: noi che corriamo e cadiamo,
tendiamo le braccia a un amabile nulla
rivestito di nebbia iridata,
e ora stiamo confusi
davanti al loro duro tribunale
né possiamo aprir bocca a discolparci,
con la lingua che sanguina
per la caccia al miele.